Il rimborso degli interessi passivi sulle rate del mutuo può essere un vantaggio anche per il lavoratore dipendente. Infatti, il piano di welfare aziendale può prevedere che il dipendente utilizzi il suo credito per richiedere il rimborso degli interessi del mutuo stipulato con la sua banca. In questo modo, il lavoratore può risparmiare sulle rate del mutuo e, in alcuni casi, può anche avere una riduzione del tasso di interesse.
Il rimborso può essere chiesto sugli interessi passivi nel caso di:
- mutuo per acquisto, costruzione o ristrutturazione prima casa
- mutuo per acquisto, costruzione o ristrutturazione seconda casa
Il servizio vale anche in caso di mutuo cointestato: la quota di interessi passivi che potrà essere rimborsata è quella relativa alla percentuale di intestazione del dipendente. Capiamo meglio come funziona il rimborso in questo articolo. Il servizio di rimborso degli interessi passivi sul mutuo è valido anche se il mutuo è cointestato. In questo caso, la quota di interessi passivi che potrà essere rimborsata sarà calcolata in base alla percentuale di intestazione del dipendente. In altre parole, se il mutuo è cointestato al 50%, il rimborso sarà pari al 50% degli interessi passivi pagati dal dipendente. Per ulteriori informazioni su come funziona il rimborso, consulta l'articolo completo.
Cosa dice la normativa
L’art 51, comma 4, lettera b del TUIR, individua un regime di particolare favore per la concessione di finanziamenti, prestiti, mutui ai propri dipendenti, stabilendo, che:
"4. Ai fini dell'applicazione del comma 3: [...] b) in caso di concessione di prestiti si assume il 50 per cento della differenza tra l'importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine di ciascun anno e l'importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi. Tale disposizione non si applica per i prestiti stipulati anteriormente al 1 gennaio 1997, per quelli di durata inferiore ai dodici mesi concessi, a seguito di accordi aziendali, dal datore di lavoro ai dipendenti in contratto di solidarietà o in cassa integrazione guadagni o a dipendenti vittime dell'usura ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro dei danni conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172;"
Come funziona
La normativa sui prestiti ai dipendenti è stata recentemente integrata dalla risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 28 maggio 2010 n. 46/E. Tale risoluzione concede piena libertà ai dipendenti nella scelta dell'istituto di credito, eliminando quindi il vincolo dell'accordo tra il datore di lavoro e terzi finanziatori. Tale cambiamento è certamente un passo in avanti nella tutela dei diritti dei lavoratori, che potranno ora scegliere l'istituto di credito più conveniente per le proprie esigenze.
L'Agenzia delle Entrate impone tuttavia alcune regole. Il contributo non concorre alla formazione del reddito del dipendente a patto che:
- l’accreditamento avvenga con modalità tali da realizzare un collegamento immediato e univoco tra l’erogazione aziendale e il pagamento degli interessi
- l’importo corrisposto dal datore di lavoro non entri, di fatto, nella disponibilità del dipendente
- il datore di lavoro invii all’istituto di credito mutuante l’informativa attinente alla concessione del contributo aziendale
- il dipendente presenti all’azienda, entro il 30 aprile, la certificazione attestante la regolarità dei pagamenti delle rate del finanziamento che viene rilasciata periodicamente dall’istituto di credito
- l’ammontare del contributo aziendale erogato in relazione ai mutui stipulati dai dipendenti venga indicato nelle annotazioni del modello CUD (Cod. AH) insieme al valore di eventuali compensi in natura concessi ai dipendenti e, di conseguenza, sul modello 770
Il legislatore fiscale ha individuato inoltre specifiche eccezioni all’applicazione della lett. b) del comma 4 dell’art. 51. La modalità di determinazione dell’importo da far concorrere a tassazione in capo al dipendente non si applica nel caso di prestiti stipulati prima del 1/1/1997 o di prestiti di durata inferiore a 12 mesi concessi, a seguito di accordi aziendali, a dipendenti in contratto di solidarietà o in Cassa Integrazione Guadagni o a dipendenti vittime dell’usura o ammessi a fruire delle erogazioni pecuniarie a ristoro di danni conseguenti a rifiuto opposto a richieste estorsive ai sensi del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172.
Mutui passivi e welfare aziendale
I dipendenti hanno inoltre la possibilità di utilizzare il proprio portafoglio welfare per ottenere il rimborso di una parte degli interessi passivi sui mutui. Grazie alla Risoluzione n. 46/E, infatti, i dipendenti possono beneficiare di un contributo aziendale per il rimborso degli interessi passivi sul proprio conto corrente dedicato al pagamento del mutuo. In pratica, questo significa che potrai risparmiare sulla tua rata mensile, rendendo il tuo mutuo più conveniente.
Il rimborso degli interessi passivi del mutuo tramite credito welfare è un'ottima opzione per i dipendenti, ma c'è anche un'altra possibilità: la detrazione degli interessi del mutuo attraverso la dichiarazione dei redditi. In questo modo, il dipendente può ottenere il 19% sugli interessi passivi sostenuti, fino a 4.000 euro per la prima casa o circa 2.000 euro per la seconda. Ovviamente le due opzioni non sono cumulabili fra loro.
Resta valida l’opzione di ricorrere al rimborso attraverso credito welfare, laddove il dipendente paghi una quota di interessi passivi che supera la quota detraibile. Infatti, il servizio di rimborso della quota di interessi passivi sul mutuo non prevede massimali secondo la normativa di welfare aziendale.
Relativamente ai prestiti e ai finanziamenti la normativa prevede come unici beneficiari i dipendenti. Nel caso di mutuo cointestato può essere rimborsata solo la quota di competenza del dipendente.
Come si calcola la quota di interessi rimborsabile
La norma stabilisce che il valore che concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente è il 50% della differenza tra gli interessi calcolati al TUR e gli interessi al tasso praticato dalla banca o dal datore di lavoro calcolati al netto del contributo erogato dall’azienda. Tale importo non può superare il limite stabilito dall’Art 51 comma 3 del TUIR, ovvero 258,23 euro.
Quando il TUR è pari a zero o comunque inferiore al tasso di interesse applicato dalla banca, non si genera alcun aggravio fiscale per il dipendente.
Per capire meglio questo punto riportiamo un esempio pratico:
Nel caso si verifichino le seguenti condizioni:
- Welfare utilizzato dal dipendente per rimborso degli interessi mutuo = 1.000 €
- Totale degli interessi pagati nell’anno per il mutuo = 4.000€
- Interessi rimasti in carico al lavoratore = 3.000 €
- Interessi calcolati con un TUR allo 0% = 0 €
- Reddito da assoggettare a tassazione = 0 – (4.000 – 1.000) = 0 € (numero negativo)
In questo caso quindi, poiché il TUR è pari a zero, i mille euro rimborsati al dipendente non verrebbero assoggettati a tassazione fiscale o imposizione previdenziale.
Matteo Paolini inizia la sua carriera da giornalista durante i primi anni dell’Università degli Studi di Verona. Consegue la Laurea Magistrale in Editoria e Giornalismo e nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti.
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