Per Welfare aziendale si intendono tutte le iniziative che il datore di lavoro adotta ai fini di incrementare la qualità della vita e la sicurezza sociale del lavoratore e della sua famiglia. Più in particolare le prestazioni di welfare si sostanziano in somme, beni, o servizi, corrisposti al dipendente, aventi finalità di tipo sociale e esclusi dal reddito di lavoro dipendente.
L’inquadramento normativo si rinviene nel Testo Unico delle imposte sui redditi (DPR n. 917/1986), in particolare agli artt. 51, 95 e 100.
L’articolo 51 del TUIR sancisce il c.d. principio di onnicomprensività del reddito da lavoro: tutto ciò che il dipendente percepisce dal suo datore, nell’ambito del rapporto di lavoro, durante il periodo di imposta, costituisce reddito di lavoro dipendente, ed è quindi soggetto a tassazione.
Ai commi successivi l’art. 51 TUIR individua una serie di ipotesi che costituiscono eccezione a quanto appena statuito, prevedendo alcune attribuzioni che non rientrano nel reddito di lavoro dipendente e che sono, quindi, esentasse.
É proprio nel solco di queste eccezioni che trova spazio e fondamento normativo il welfare aziendale.
Al comma 2 dell’art. 51 TUIR sono elencate una serie di categorie di servizi che costituiscono il welfare aziendale in senso stretto: quali assistenza sanitaria, somministrazione di vitto e servizi di trasporto.
Alle prestazioni di welfare poi, possono essere affiancate le erogazioni in natura (comma 3) e i c.d. fringe benefit (comma 4). Quest’ultimi, è bene chiarire, non rientrano nel concetto di welfare aziendale, seppur si possano accompagnare a tali iniziative, ciò poiché non condividono la finalità sociale e la destinazione collettiva, essendo offerti a singoli dipendenti ben individuati.
Denominatore comune di tutti i beni e servizi ricompresi ai commi 2,3,4, è però l’esenzione dalle tasse,e, quindi, il vantaggio per il dipendente. Quella attribuzione, che, se fosse elargita come parte dello stipendio, e quindi facente parte del reddito di lavoro dipendente, sarebbe soggetta a tassazione, viene percepita come valore netto ( in natura, in somma, o in rimborso spese).
Il vantaggio però è bilaterale. Il datore di lavoro infatti deduce ai fini IRES tali erogazioni. Ciò, a seconda dei casi, totalmente o parzialmente (artt. 95 e 100 TUIR)
Le prestazioni di welfare sono elencate all’art. 51 TUIR: il ventaglio di possibilità è ampissimo, e ricopre a 360° la vita del dipendente. Ben oltre i buoni pasto, tipico esempio che salta alla mente in tema di welfare.
Le aree di interesse possono essere così sintetizzate: assistenza sanitaria; somministrazione di vitto; prestazioni di servizio o di trasporto collettivo; abbonamenti per il trasporto pubblico; opere e servizi per finalità sociali, quali istruzione, culto, intrattenimento; servizi di educazione e istruzione; assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti; contributi e premi contro il rischio di non autosufficienza o gravi patologie; contributi di previdenza complementare.
Ciascuna area al proprio interno si apre e declina e ulteriormente. Ad esempio, nell’ambito dei servizi di educazione e istruzione, possono rientrare l’iscrizione ad asili nido, i servizi di doposcuola, il babysitting e i centri estivi. Così come nell’ambito delle opere e servizi per finalità sociali, può rientrare l’abbonamento a teatro, gli ingressi a mostre, i corsi extraprofessionali, e molto altro ancora.
Le prestazioni di welfare hanno come destinatari tutti i soggetti che percepiscono redditi da lavoro dipendente e, tendendo alla miglioria della qualità della vita, si estendono anche ai familiari.
L’adozione delle misure deve avvenire per la totalità dei dipendenti o per categorie determinate in base a criteri oggettivi, come il livello di inquadramento o la sede di lavoro.
Per quanto riguarda i familiari invece, la legge, tramite una serie di rimandi normativi (l’art. 51 TUIR che rimanda all’art. 12 TUIR, che rimanda rimanda all’art. 433 c.c..) delimita la cerchia; possono quindi essere così individuati:
- il coniuge e il coniuge non legalmente ed effettivamente separato (o partner nelle unioni civili ex L.76/2016);
- i figli, compresi i naturali riconosciuti, i figli adottivi o affidati;
- i genitori e in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, gli adottanti;
- i generi e le nuore;
- il suocero e la suocera;
- i fratelli e le sorelle con uno solo o entrambi i genitori in comune.
Una precisazione a conclusione: le pratiche di welfare non possono tradursi nella concessione di benefici ad personam, ciò poiché il fine delle prestazioni di welfare aziendale, nonché la condizione di legittimità, è l’utilità sociale. É proprio nella finalità di rilevanza sociale infatti che affonda le sue radici il favore del legislatore per questo istituto, e, quindi, le agevolazioni fiscali e contributive.
Federica Rabajoli, laureata in giurisprudenza e abilitata all’esercizio della professione forense; diplomata, inoltre, in scrittura e storytelling alla scuola Holden. Studia e scrive con passione di diritto. redazione@beneficy.com